Se vi è piaciuto l’ultimo album di David Bowie e volete cominciare ad addentrarvi nel rutilante mondo del jazz, insieme ad un classico che qualunque negoziante anche oggi sarebbe capace di consigliarvi, questo potrebbe essere il disco per voi. Intanto da “Blackstar” ritrovereste il basso di Tim Lefebvre e il torrenziale, ma puntuale sassofono di Donny McCaslin (ineccepibile i suoi soli in “Tinderly” e in “S.N.C.F.”). A completare il gruppo, la batteria di Nate Wood (un session man di lusso, non troppo aggrovigliato nelle sue scelte ritmiche) e i titolari, i fratelli Julian e Roman Wasserfuhr, rispettivamente trombettista e pianista, da sempre attenti a quello che accade in mondi musicali limitrofi; tanto da inserire nell’album una cover dei loro connazionali Tokyo Hotel, “Durch den Monsun” ed una di Sting, “Seven Days”. Con l’ex Police la frequentazione è antica, in “Gravity” del 2011 si erano cimentati con "Englishman in New York"; mentre in “Running” del 2013 alla voce rock avevano scelto sicuramente meglio con “Behind Blue Eyes” da “Who’s Next” e “Nowhere man” della premiata ditta Lennon-McCartney. A volte le atmosfere sembrano tangenti a quelle del Pat Metheny Group e di certo gli intenti non sono né rivoluzionari, né innovativi; ma ci sono giorni in cui anche un piacevole ascolto (anche in vinile per i più fortunati) può bastare. (Danilo Di Termini)